Memoires Barisiennes
Nonostante l’autorevole parere di… Giorgio Gaber, la generazione di Marcello Montanari ha vinto.
Tralasciamo le risapute (anche se dimenticate o sempre più negate) evidenze su quanto di ciò che di buono noi siamo concretamente oggi, sul piano culturale, sociale, politico, istituzionale, si debba al loro essere ieri visionari disarmati e insieme incontenibili provocatori: i ragazzi degli anni ’60 e ’70 hanno vinto in primo luogo perché nel tentativo tra il gaglioffo e il romantico, lo scientifico e l’istintivo di ricostruire il mondo hanno splendidamente costruito sé stessi ad osservarlo e ad immaginarne altri modi, altre prassi, altre teorie.
Anzi, hanno costruito sé stessi a costituirlo già diverso dentro di sé, e nel loro collettivo essere diversi.
Mémoires barisiennes ci riporta l’epoca favolosa e lontana in cui i giovani crescevano in una autoformazione rigorosissima, spietata, sostenuta dalle gabbie ferree e edificanti della cultura e dell’ideologia, con tomi di classici ottocenteschi come tutori da avviluppare in complicatissime ramificazioni; in cui raffinate weltanschauung ed una infuocata eloquenza erano viatico per notti interminabili di parole e di vita; in cui il crisma dell’”intellettuale” era una medaglia da conquistarsi con studi interminabili, ragionamenti estenuanti, tesi su tesi, analisi di analisi.
Con Mémoires barisiennes Marcello Montanari ci riconsegna dunque antichi strumenti per sottrarci alla odierna narcosi autoinferta o coatta, ci riporta vecchie parole che profumano di un’epoca bella che abbiamo attraversato e non siamo riusciti a trattenere; un’epoca in cui il dibattito delle idee – anche le più raffinate, le più estreme, le più astruse – era l’acqua in cui si nuotava tutti ed era l’alimento di cui ognuno si nutriva. Ci ripropone quelle idee, ma soprattutto testimonia che sopravvive una lunga fedeltà ad esse, che resiste il disprezzo della semplificazione, della banalità, del luogo comune; quel dandysmo culturale profondo che all’école barisienne è stato attribuito derisoriamente, e che le va invece rivendicato come merito, come onoreficenza, se non altro a fronte del neoconformismo di oggi.
Nonostante l’autorevole parere di… Giorgio Gaber, la generazione di Marcello Montanari ha vinto.
Tralasciamo le risapute (anche se dimenticate o sempre più negate) evidenze su quanto di ciò che di buono noi siamo concretamente oggi, sul piano culturale, sociale, politico, istituzionale, si debba al loro essere ieri visionari disarmati e insieme incontenibili provocatori: i ragazzi degli anni ’60 e ’70 hanno vinto in primo luogo perché nel tentativo tra il gaglioffo e il romantico, lo scientifico e l’istintivo di ricostruire il mondo hanno splendidamente costruito sé stessi ad osservarlo e ad immaginarne altri modi, altre prassi, altre teorie.
Anzi, hanno costruito sé stessi a costituirlo già diverso dentro di sé, e nel loro collettivo essere diversi.
Mémoires barisiennes ci riporta l’epoca favolosa e lontana in cui i giovani crescevano in una autoformazione rigorosissima, spietata, sostenuta dalle gabbie ferree e edificanti della cultura e dell’ideologia, con tomi di classici ottocenteschi come tutori da avviluppare in complicatissime ramificazioni; in cui raffinate weltanschauung ed una infuocata eloquenza erano viatico per notti interminabili di parole e di vita; in cui il crisma dell’”intellettuale” era una medaglia da conquistarsi con studi interminabili, ragionamenti estenuanti, tesi su tesi, analisi di analisi.
Con Mémoires barisiennes Marcello Montanari ci riconsegna dunque antichi strumenti per sottrarci alla odierna narcosi autoinferta o coatta, ci riporta vecchie parole che profumano di un’epoca bella che abbiamo attraversato e non siamo riusciti a trattenere; un’epoca in cui il dibattito delle idee – anche le più raffinate, le più estreme, le più astruse – era l’acqua in cui si nuotava tutti ed era l’alimento di cui ognuno si nutriva. Ci ripropone quelle idee, ma soprattutto testimonia che sopravvive una lunga fedeltà ad esse, che resiste il disprezzo della semplificazione, della banalità, del luogo comune; quel dandysmo culturale profondo che all’école barisienne è stato attribuito derisoriamente, e che le va invece rivendicato come merito, come onoreficenza, se non altro a fronte del neoconformismo di oggi.
Nonostante l’autorevole parere di… Giorgio Gaber, la generazione di Marcello Montanari ha vinto.
Tralasciamo le risapute (anche se dimenticate o sempre più negate) evidenze su quanto di ciò che di buono noi siamo concretamente oggi, sul piano culturale, sociale, politico, istituzionale, si debba al loro essere ieri visionari disarmati e insieme incontenibili provocatori: i ragazzi degli anni ’60 e ’70 hanno vinto in primo luogo perché nel tentativo tra il gaglioffo e il romantico, lo scientifico e l’istintivo di ricostruire il mondo hanno splendidamente costruito sé stessi ad osservarlo e ad immaginarne altri modi, altre prassi, altre teorie.
Anzi, hanno costruito sé stessi a costituirlo già diverso dentro di sé, e nel loro collettivo essere diversi.
Mémoires barisiennes ci riporta l’epoca favolosa e lontana in cui i giovani crescevano in una autoformazione rigorosissima, spietata, sostenuta dalle gabbie ferree e edificanti della cultura e dell’ideologia, con tomi di classici ottocenteschi come tutori da avviluppare in complicatissime ramificazioni; in cui raffinate weltanschauung ed una infuocata eloquenza erano viatico per notti interminabili di parole e di vita; in cui il crisma dell’”intellettuale” era una medaglia da conquistarsi con studi interminabili, ragionamenti estenuanti, tesi su tesi, analisi di analisi.
Con Mémoires barisiennes Marcello Montanari ci riconsegna dunque antichi strumenti per sottrarci alla odierna narcosi autoinferta o coatta, ci riporta vecchie parole che profumano di un’epoca bella che abbiamo attraversato e non siamo riusciti a trattenere; un’epoca in cui il dibattito delle idee – anche le più raffinate, le più estreme, le più astruse – era l’acqua in cui si nuotava tutti ed era l’alimento di cui ognuno si nutriva. Ci ripropone quelle idee, ma soprattutto testimonia che sopravvive una lunga fedeltà ad esse, che resiste il disprezzo della semplificazione, della banalità, del luogo comune; quel dandysmo culturale profondo che all’école barisienne è stato attribuito derisoriamente, e che le va invece rivendicato come merito, come onoreficenza, se non altro a fronte del neoconformismo di oggi.